Pena di quattro anni e quattro mesi per l’ex direttore di Maricommi Fabrizio Germani. Gli imprenditori: il meccanismo di corruzione era diffuso anche nell’arsenale spezzino.
Sondra Coggio27 SETTEMBRE 2019
La Spezia – Pretendevano dalle imprese il 10% di tangente, per aggiudicare loro gli appalti. A cinque anni dai primi arresti, arrivano le prime sentenze sulla tangentopoli in Marina. Il giudice Vilma Gilli ha inflitto otto anni di condanna al capitano Roberto La Gioia, cinque anni e quattro mesi all’ex direttore di Maricommi Spezia Fabrizio Germani, quattro anni e quattro mesi al sottufficiale Antonio Summa.
Sono solo le prime tre condanne del primo dei tre filoni di inchiesta sugli appalti truccati. Il caso è esploso nel 2014 a Taranto, ma risulta di forte interesse anche a Spezia, sia perché molti dei militari coinvolti hanno rivestito incarichi di vertice alla Spezia, sia perché alcuni sono spezzini, sia perché il meccanismo di corruzione messo a nudo sarebbe avvenuto anche sul territorio spezzino. Ci sono state, in questo senso, dichiarazioni da parte di imprenditori costretti a pagare. E la sensazione è che il sistema possa essere stato molto più ampio, rispetto a quanto è venuto fuori. A consentire l’emersione degli illeciti, sono stati gli imprenditori vessati. A quel punto, gli indagati hanno iniziato a collaborare. La Gioia aveva raccontato di avere tutta una contabilità, con i valori delle commesse e gli importi delle tangenti. Era «una prassi», aveva rivelato, che «passava da un comandante all’altro».
I tre imputati condannati ieri, hanno scelto il rito abbreviato. Affronteranno il processo, invece, solo in questa prima tranche, Marco Boccadamo, Giuseppe Coroneo, Riccardo Di Donna, Giovanni Cusmano, Alessandro Dore, Giovanni Caso, Attilio Vecchi, tutti militari, più il dipendente civile Leandro De Benedectis.
La lista delle persone indagate nei tre filoni è molto più lunga. Comprende militari e civili. Ci sono stati anche dei patteggiamenti, in questi cinque anni, nei quali il procuratore Maurizio Carbone ha scoperchiato un modus operandi collaudato, che uno dei numerosi giudici impegnati sul caso, Pompeo Carriere, ha definito un «vero e proprio pizzo, imposto con sfacciata protervia».
La Gioia era stato arrestato in flagranza, mentre intascava una delle tante mazzette. Era accaduto lo stesso, nel secondo filone di inchiesta, all’allora capitano di vascello Giovanni Di Guardo, poi degradato. Di Guardo era stato per anni in servizio presso la base navale della Spezia. Aveva cominciato qui, secondo l’accusa, a chiedere le tangenti. Solo che qui nessuno aveva denunciato.
L’ex ufficiale era stato arrestato, poi scarcerato, e si era ritirato nella sua casa in Lunigiana, in attesa degli sviluppi. Era stato raggiunto peraltro l’anno successivo da un altro avviso, per un’altra inchiesta, con presunto reato di bancarotta fraudolenta, per una frode carosello fra Italia e Malta. Alla Spezia sono conosciuti molti dei militari coinvolti nell’inchiesta, come il tenente di vascello Francesco Mola, 31 anni, che già qui, prima ancora di spostarsi a Taranto, collaborava con Di Guardo.
La Spezia – Pretendevano dalle imprese il 10% di tangente, per aggiudicare loro gli appalti. A cinque anni dai primi arresti, arrivano le prime sentenze sulla tangentopoli in Marina. Il giudice Vilma Gilli ha inflitto otto anni di condanna al capitano Roberto La Gioia, cinque anni e quattro mesi all’ex direttore di Maricommi Spezia Fabrizio Germani, quattro anni e quattro mesi al sottufficiale Antonio Summa.
Sono solo le prime tre condanne del primo dei tre filoni di inchiesta sugli appalti truccati. Il caso è esploso nel 2014 a Taranto, ma risulta di forte interesse anche a Spezia, sia perché molti dei militari coinvolti hanno rivestito incarichi di vertice alla Spezia, sia perché alcuni sono spezzini, sia perché il meccanismo di corruzione messo a nudo sarebbe avvenuto anche sul territorio spezzino. Ci sono state, in questo senso, dichiarazioni da parte di imprenditori costretti a pagare. E la sensazione è che il sistema possa essere stato molto più ampio, rispetto a quanto è venuto fuori. A consentire l’emersione degli illeciti, sono stati gli imprenditori vessati. A quel punto, gli indagati hanno iniziato a collaborare. La Gioia aveva raccontato di avere tutta una contabilità, con i valori delle commesse e gli importi delle tangenti. Era «una prassi», aveva rivelato, che «passava da un comandante all’altro».
I tre imputati condannati ieri, hanno scelto il rito abbreviato. Affronteranno il processo, invece, solo in questa prima tranche, Marco Boccadamo, Giuseppe Coroneo, Riccardo Di Donna, Giovanni Cusmano, Alessandro Dore, Giovanni Caso, Attilio Vecchi, tutti militari, più il dipendente civile Leandro De Benedectis.
La lista delle persone indagate nei tre filoni è molto più lunga. Comprende militari e civili. Ci sono stati anche dei patteggiamenti, in questi cinque anni, nei quali il procuratore Maurizio Carbone ha scoperchiato un modus operandi collaudato, che uno dei numerosi giudici impegnati sul caso, Pompeo Carriere, ha definito un «vero e proprio pizzo, imposto con sfacciata protervia».
La Gioia era stato arrestato in flagranza, mentre intascava una delle tante mazzette. Era accaduto lo stesso, nel secondo filone di inchiesta, all’allora capitano di vascello Giovanni Di Guardo, poi degradato. Di Guardo era stato per anni in servizio presso la base navale della Spezia. Aveva cominciato qui, secondo l’accusa, a chiedere le tangenti. Solo che qui nessuno aveva denunciato.
L’ex ufficiale era stato arrestato, poi scarcerato, e si era ritirato nella sua casa in Lunigiana, in attesa degli sviluppi. Era stato raggiunto peraltro l’anno successivo da un altro avviso, per un’altra inchiesta, con presunto reato di bancarotta fraudolenta, per una frode carosello fra Italia e Malta. Alla Spezia sono conosciuti molti dei militari coinvolti nell’inchiesta, come il tenente di vascello Francesco Mola, 31 anni, che già qui, prima ancora di spostarsi a Taranto, collaborava con Di Guardo.